C’è un’Azienda che in pochi anni è cresciuta quattro volte: di fatturato, di presenza sui mercati internazionali, di personale. Mi chiamano per mettere un po’ d’ordine nel performance management.
I successi del prodotto hanno messo in secondo piano la valutazione oggettiva delle capacità e dei meriti dei dipendenti, con premi distribuiti “a pioggia” o a discrezione dei singoli manager, ça va sans dire con criteri del tutto personali.
Progetto un processo semplice: ogni dipendente verrà valutato annualmente su un massimo di quattro obiettivi, assegnati ad personam, e su tre cluster comportamentali uguali per tutti, che esprimono la sintesi dei valori aziendali.
Attenzione però, i manager non sono abituati a indicare obiettivi in modo preciso e misurabile, negli anni scorsi le loro aspettative di prestazione erano espresse con inviti generici a “essere di supporto”, “contribuire a”, “assicurare”, insomma, una specie di “copia e incolla” delle job description.
Mi viene dunque richiesto di aiutare ogni manager a definire degli obiettivi SMART per ciascuno dei propri collaboratori. E qui succede qualcosa di difficile e bello.
La riflessione sugli obiettivi si intreccia con dei pensieri nuovi sulla propria leadership: qualcuno di accorge di non delegare abbastanza e di non incoraggiare lo spirito di squadra, altri si rendono conto di non essere stati sufficientemente trasparenti e schietti, altri ancora decidono finalmente di porre una deadline a dei progetti troppo a lungo rimandati.
In sintesi, la faticosa ricerca di obiettivi concreti su cui misurare le persone fa emergere con maggior chiarezza qualità e limiti del proprio approccio manageriale, stimola nuove domande, in qualche caso produce anche nuove risposte. I miei incontri individuali con i manager si trasformano così in vere, seppur brevi, sessioni di coaching.
Certo non mancano le resistenze, un manager dichiara “impossibile” esprimere aspettative misurabili, un altro invece ritiene il processo dannoso perché “crea un approccio arido al lavoro, poco empatico”. Anche loro però, a denti più o meno stretti, finiscono per adeguarsi, chissà se per precise direttive aziendali o perché la maggior parte dei loro colleghi guarda con interesse a questa esperienza.
Esco dal progetto con questa convinzione: la legge degli obiettivi è forse implacabile, ma è uno specchio fedele della capacità di ogni manager di dare senso al lavoro altrui.