I film della serie “Mission Impossible” suscitano in me emozioni contrastanti. Mi diverto, mi appassiono, mi identifico con l’eroe e il suo coraggio, mi intrigano le complicatissime sfide che deve affrontare e le modalità con cui riesce a superarle. Provo però anche irritazione per il basso livello di verosimiglianza delle situazioni e invidia per la bravura di Tom Cruise, come attore e come stunt man (sembra che molte scene pericolose abbia voluto recitarle in prima persona).
Anche l’approccio della Mindfulness genera in me simili reazioni.
Dio solo sa se abbiamo tutti bisogno di essere “qui ed ora”, con noi stessi e con gli altri, anziché distratti da mille pensieri, continuamente interrotti da messaggi ed e-mail, cercando di rendere compatibile la qualità di ciò che facciamo con la velocità richiesta, il pensiero con l’azione, la disponibilità con il limite delle nostre risorse.
Oramai non è il futuro che ci incalza, è il presente prossimo, gli spazi in cui ancora non siamo, che ci spingono a preoccuparci della “prossima mossa” quando non abbiamo ancora terminato quella attuale.
Ho appena terminato una zoom-call con altre quattro persone, e due di loro, quando venivano interpellate dall’organizzatore del meeting, risultavano palesemente occupate in altro: il loro sguardo era sul computer, ma probabilmente stavano controllando la posta elettronica o qualcosa di simile.
Nulla di strano, se penso anche a ciò a cui ho ultimamente assistito in diversi meeting “in presenza”: alcune persone guardavano l’interlocutore, sembravano ascoltarlo, ma non riuscivano a rimanere concentrate sulle semplici informazioni che forniva, o a ricordarle dopo pochi minuti. La loro mente non era collegata a ciò che stava avvenendo in quella stanza.
La Mindfulness riporta il tempo nella giusta prospettiva: non c’è solo il flusso del passato e del futuro, i risultati dello scorso quarter e del prossimo, ma ci sono anche istanti di “essere” che vanno abitati e che hanno senso di per sé. Abbiamo l’esperienza dietro di noi e gli obiettivi davanti, ma ciò che avviene in questo preciso momento è sempre anche “altro” e non si lascia inquadrare in queste due categorie.
Ecco perché ammiro la Mindfulness e chi la pratica: mi sembra possa portare a una vita più piena, più giusta, più sana e soprattutto più equilibrata.
Ma: io non ce la faccio.
Mi sembra una “Mission impossibile” che pochi nella vita reale riescono a realizzare: mi viene in mente Roberto Bolle, per come lo vedo ballare, parlare, interagire con gli altri artisti.
Ma perché?
Il debito di questo approccio verso la cultura orientale (zen, yoga, buddismo…) lo rende poco praticabile per chi lavora in contesti di business occidentali?
Le persone che ho incontrato e che praticano la Mindfulness non mi sono sembrate né più né meno equilibrate di me?
È semplicemente un approccio non adatto a me, che mi crea disagio, lo stesso percepito nel recitare “na-mio-reghe-kyo”, partecipare a una sessione di yoga o (aiuto!) di “yoga della risata”?
Insomma, il messaggio della Mindfulness è importante e urgente, portarlo nel nostro mondo (o magari solo nel mio) è un’impresa titanica. Ma abbiamo un gran bisogno di Titani!