Perchè le chiamiamo "Academy?"

Negli ultimi anni molte aziende hanno istituito delle “Academy” interne.

Lo scopo di queste nuove funzioni è di elevare la qualità e l’efficacia dei processi di formazione, rendendoli aderenti alle necessità aziendali.

Tutte le Academy agiscono principalmente su tre leve:

·       rilevano in modo approfondito i bisogni formativi;

·       scelgono, guidano e indirizzano i Formatori esterni, in modo che adeguino il loro approccio a tali bisogni e al contesto di business;

·       valorizzano il Know how aziendale sviluppato negli anni e le persone che ne sono portatrici, che assumono il ruolo di Formatori interni (una responsabilità in più che si aggiunge a quelle usuali).

Poiché le parole influenzano il pensiero, e il pensiero influenza le azioni, la scelta della parola “Academy” rischia di determinare azioni che vanno contro lo spirito e gli obiettivi per cui queste funzioni sono nate.

Facciamo un gioco.

Prendete un foglio di carta (o aprite un file word) e scrivete le prime otto parole che vi vengono in mente associate alla parola “Academy”, o meglio ancora “Accademia”.

Pronti? Via!

Fatto?

Ora vi dico cosa ho scritto io: Università, Prestigio, Professore, Esclusività, Eccellenza, Attestato, Abilitazione, Esami.

Non so se avete associato significati molto diversi da questi, ma scommetto che la maggior parte è caratterizzata dal senso di “distanza”: da una parte c’è un sapere e chi lo detiene, dall’altra parte c’è chi lo vuole acquisire, o per il suo valore, o perché necessario per accedere a delle opportunità.

Non sto assumendo che questa distanza sia necessariamente negativa, al contrario, in particolare se riferita al mondo “accademico” nel senso più nobile del termine: intellettuali e scienziati che devono mantenere la loro indipendenza dalla politica, dal business, dalle ideologie, da qualsiasi interesse di parte, coltivando la passione per la cultura e la verità.

Chi si occupa di formazione e sviluppo nelle Aziende, invece, deve essere “dentro” l’organizzazione e i suoi interessi, contaminarsi con i problemi e le soluzioni, creare strette connessioni tra il sapere e il saper fare. Quindi il modello accademico non va bene e rischia di perpetuare le stantie problematiche della formazione aziendale: i partecipanti non ne percepiscono l’utilità, i responsabili dei partecipanti la vivono come una perdita di tempo che compromette la produttività.

Nel modello accademico al centro del processo si trova la conoscenza detenuta dai professori, quindi chi coordina le Academy rischia di rimanere in questa posizione “up”: noi capiamo le conoscenze che vi mancano e ve le offriamo. Quindi tutti sono alla finestra per vedere se i formatori – professori alla fine sono stati efficaci nel trasmettere il know e il know-how.

In un modello diverso (tra poco ci occuperemo del nome) al centro si trova la condivisione degli obiettivi di apprendimento, che coinvolge in modo paritetico tutti gli attori: esperti di formazione e sviluppo, partecipanti, responsabili, formatori. Rappresentanti di questi mondi possono quindi procedere insieme in una logica di co-design, in cui mantenere in ogni momento un ruolo attivo: nel progettare la formazione, nel partecipare, nel rendere vivo ciò che si appreso a valle dell’attività d’aula. Nessuno è alla finestra: gli esperti di formazione e sviluppo guidano il processo, i partecipanti condividono le proprie conoscenze, i responsabili si impegnano a supportare l’apprendimento nella pratica di tutti i giorni, i formatori individuano i contenuti e le modalità più aderenti al contesto.

“Bisogna trovare le parole giuste, le parole sono importanti”: https://www.youtube.com/watch?v=o7sCQbUzppA

Chiamiamoli allora “Learning center”, “Learning booster”, “Know-how developer” (o i loro equivalenti in italiano), o comunque troviamo un nome più appropriato allo scopo: è il primo passo per realizzarlo.